La pandemia scatenata dal covid-19 e le conseguenti crisi (sanitaria, sociale ed economica) hanno giustamente preso tutta l’attenzione del dibattito politico, ma questo non significa che si possano lasciare da parte altre questioni non rimandabili, come la crisi ambientale.
La politica deve assolutamente tornare ad occuparsene e deve farlo nel più breve tempo possibile.
Un rapporto dell’Alleanza europea per la salute pubblica (EPHA), basato sui dati di 432 città, ha quantificato il costo dell’inquinamento atmosferico in Europa in 166 miliardi di euro all’anno, come risultato dell’analisi del valore monetario delle morti premature, dei trattamenti medici, dei giorni di lavoro persi, nonché di altri costi sanitari causati dagli agenti inquinanti.
In Italia, invece, la città che presenta i dati peggiori è Roma, con costi pari a 4,14 miliardi di euro, seguita da Milano (3,49 miliardi) e da Torino (1,81 miliardi).
Analizzando però i dati pro capite è Milano la città con la situazione nettamente peggiore: il costo è pari a 2.843 euro a persona. Al secondo posto figura Padova, con 2.455 euro, e terza è Venezia con 2.106, mentre Roma è diciannovesima, con un esborso per abitante pari a 1.589 euro.
Mi sembra evidente che riconvertire i sistemi produttivi nazionali verso la neutralità climatica, e riuscire a mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° rispetto all’era pre-industriale (come chiesto dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015), sia quanto mai non rinviabile.
In Italia il documento guida dell’azione governativa è attualmente il PNIEC (Piano nazionale integrato energia e clima), che fissa obiettivi di riduzione dei gas al 40% tra il 1990 e il 2030, obbiettivi modesti se si pensa che la Commissione europea ha già innalzato il traguardo al 55% e il Parlamento europeo al 60%.
Un elenco chiaro delle priorità
Ma quali sono gli ambiti prioritari sui quali occorre intervenire? Secondo uno studio, coordinato dall’Italian Climate Network, e realizzato dall’associazione EStà (Economia e sostenibilità) sono decisivi i settori della produzione e stoccaggio di energia rinnovabile, della trasformazione del sistema dei trasporti e della ristrutturazione degli edifici.
Entro il 2030 bisogna elettrificare almeno il 30% dei veicoli su strada; installare pannelli fotovoltaici su almeno il 4% del parco residenziale esistente; fare investimenti sull’efficientamento energetico degli edifici residenziali e commerciali-pubblici pari a 21 miliardi.
Queste politiche negli ambiti industriali andrebbero accompagnate, secondo i ricercatori di Està, dall’applicazione su vasta scala delle pratiche di agricoltura conservativa: copertura dei suoli, rotazione delle colture, riduzione dell’aratura. Questo aumenterebbe di 29 milioni di tonnellate (su 427 oggi emesse in Italia) la capacità di assorbimento di gas serra dei suoli agricoli. Combattendo, così, la pericolosissima tendenza all’impoverimento degli stessi.
Risultati molto significativi in termini di aumento dell’assorbimento dei gas si avrebbero anche attraverso pratiche di gestione della crescita delle foreste e del legname più coordinate e coerenti con il grande potenziale di lotta al cambiamento climatico che le nostre superfici verdi possiedono.
Queste politiche si tradurrebbero da qui al 2030 in una maggiore crescita del PIL, rispetto alle attuali previsioni, pari all’8% circa ed in un aumento di 600.000 unità lavorative, stabili in questi dieci anni.
Numeri che migliorerebbero ulteriormente nel caso in cui l’Italia mirasse i suoi investimenti verso gli ambiti green a maggior contenuto tecnologico. I ricercatori hanno calcolato infatti che 7 miliardi annui di investimenti aggiuntivi in tecnologia green avanzata, rispetto agli stessi 7 miliardi investiti in tecnologia a basso contenuto innovativo, porterebbero a una crescita continua di ore lavorate e PIL, fino ad avere nel 2030 circa 400.000 occupati e circa 70 miliardi annui di PIL (il 4,1%) ulteriori.
Numeri che sottolineano la necessità di aumentare la spesa in ricerca e sviluppo e gli sforzi di industrializzazione dei brevetti, per far sì che il nostro Paese non resti nelle retrovie dell’innovazione, limitandosi ad acquistare la tecnologia green prodotta da altri.
Il clima come priorità
La crisi ambientale e i costi dell’inquinamento sono sotto gli occhi di tutti, eppure continuiamo a sprecare le ultime occasioni che madre natura ci sta offrendo per risolvere la questione. L’avvento di una pandemia globale ha ovviamente attirato su di sé l’intero dibattito pubblico, ma il tempo scorre e la situazione peggiora.
Credo quindi che sia necessario rimettere al centro del discorso anche la questione ambientale e l’impatto che ha su di noi e che, soprattutto, avrà sulle future generazioni.
Le politiche economiche che abbiamo attuato fino a ora ci hanno portati sull’orlo del precipizio, sta a noi ora non caderci.